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216 | xx - messer niccolò del rosso |
XXXVIII
Contro la malvagitá e presunzione di certi ricchi.
S’el mondo se partisse per bontade,
oh quanti sono ricchi, cui mancára!
Segnore mio, l’opra ti fora cara,
4per che tu vivi senza umanitade;
e non ti aggrada fée né lialtade,
ni servir altri, se non per bombara:
e quel, che piglia la tua mano avara,
8en corbonar se pò dir che zò cade.
De te presumi piú, che Salamone;
ma pénsati ben com’igli è il contraro:
11che, empoverito, seresti un briccone.
E, s’igli avvien ch’él te manchi el dinaro
o ver che la fortuna se revolga,
14tu non troverai om, che ti ricolga.
XXXIX
Chi vuol vivere in tranquillitá d’animo, non si occupi dei tieni mondani.
Se Tomo in perpetuo stesse vivo,
d’onni prosperitá pieno e iocondo,
certo lo nostro seria dolce mondo,
4e niuno lo devria tener a schivo.
Ma nui vedemo qual è più zolivo,
cui vengano tutt’i deletti a tondo,
che Morte di botto lo mette a fondo,
8di zascun bon terreno casso e privo.
Ancor en questa vita non abenta
piccolo e grande segondo il suo stato,
11per che za mai di cosa non contenta.
Unde chi vuol passar lieto e beato,
lor spene pona ne l’excelsa gloria,
14ni del presente far ulla memoria.