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210 xx - messer niccolò del rosso

XXVI

Si stancherá di amare infruttuosamente.

Onni raeo millantar, e zò, ch’eo fiabbo,
d’aver la costancia del zusto Paolo,
madonna, ver’ti, non mi leva un cáolo:
4tanto mi strenze il grand’amor, ch’eo ti abbo
senza casone, ch’eo non so’ tuo babbo
ni figliuolo, marito, ciò o láolo;
ma quel core, che di questo fu gáolo,
8forsi noi tinira’ tosto per gabbo.
Ché sento za lo sospir sino al gòtto;
e, pria ch’él spiri, si convert’en piombo,
11che carga et empie l’alma come bòtto.
Di che per zascun osso, polpa e lombo
si sendica lo rotto di la solze:
14non, s’el frutto sera amaro o dolze.

XXVII

Il suo amore ha la radice in un caldo desiderio sensuale.

Per non usar era di polver lordo
lo core mio, e di rúzene sporco,
quando Amor gli scridò: —Se eo non torco
4la tua durezza, ben mi terrò gordo. —
E, pigliandolo quasi tutto stordo,
tagliollo per longo dicendo: —Eo corco
tego custei, e nel mezzo la inforco,
8si che ver’me piú non ti mostri sordo.
Se zò te displaze, reprendi gli odi,
che vólse pur mirar le belle gambe,
11unde lor frutto ormai tu l’adocli. —
Allora quel eluse le parte entrambe,
e rispose: —Signor, eo ti ringracio,
14poi che di star cum lei per ti me sacio. —