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xvi - folgore di san giminiano 169

XXIV

Prodezza.

Ecco Prodezza, che tosto lo spoglia,
e dice: — Amico, e’convien che tu mudi,
per ciò ch’i’vo’ veder li uomini nudi;
4e vo’ che sappi non abbo altra voglia.
E lascia ogni costume, che far soglia,
e nuovamente t’affatichi e sudi;
se questo fai, tu sarai de’ miei drudi,
8pur che ben far non t’incresca né doglia. —
E, quando vede le membra scoperte,
immantenente se le reca in braccio,
11dicendo: — Queste carni m’hai offerte;
i’ te ricevo e questo don ti faccio,
acciò che le tue opere sien certe;
14che ogni tuo ben far giá mai non taccio.—

XXV

Umiltá.

Umilitá dolcemente il riceve,
e dice: — Punto non vo’che ti gravi,
che pur convèn ch’io ti rimondi e lavi;
4e farotti piú bianco, che la neve.
E ’ntendi quel, ched io ti dico breve:
ch’i’ vo’ portar de lo tuo cor le chiavi;
ed a mio modo converrá che navi;
8ed io ti guiderò si come meve.
Ma d’una cosa far tosto ti spaccia,
che tu sai che soperbia m’è nimica:
11che piú con teco dimoro non faccia.
I’ ti sarabbo cosí fatta amica,
che converrá ch’a tutta gente piaccia;
14e cosí fa chi di me si notrica. —