Pagina:AA. VV. – Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Vol. I, 1920 – BEIC 1928288.djvu/135


vii - cecco angiolieri 129

CXXXII

Il bello è ch’egli si tiene un valoroso!

Se tutta l’otriaca d’oltre mare,
e quanto in Genov’ha di vernaccino
fosscr raunate nel corpo di Mino,
4il qual si solea far Zeppa chiamare,
noi potiien tanto di spera scaldare,
ch’e’non prendesse d’india lo cammino:
e lèvala, che par un paladino,
8pur ch’egli udisse «lei lei )è» gridare.
Quell’è’1 sollazzo, ch’e’si tien valente!
M’a me non mcttarebbe quella bada,
11sed i’ non sia di mia donna dolente.
Ch’i’l’ho per un de’cattivi da Radda;
se ’l conoscesse, com’i’, tutta gente,
14gridando li andrebber dietro: — Dá’ da’! —

CXXXIII

E invece, per la sua viltá, s’è coperto di vergogna.

Per Die, Min Zeppa, or son giunte le tue;
or ti difendi, se sai, d’esto motto:
che ti fu dato d’un matton biscotto
4nel capo, ch e’ ne sana mort’un bue;
e tu.com’uom, che non volesti pitie,
non ell’una pace n’hai fatta, ma otto:
or ti va’ ’mpicca, sozzo pazzo cotto,
8vitoperato piú, ch’anell’uom non fue.
Ché, s’tu temessi vergogna niente,
tu anderesti con gli occhi chinati
11e non appariresti mai tra gente.
Tu porti ’l gonfalon degli sciaurati,
figliuol di quella, c’ha ’l cui si rodente,
14che tutti i cazzi del mondo ha stancati.


9