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I. Aonio Paleario (n. a Verdi il 1503 m. impiccato a Roma, per sentenza dell’Inquisizione, il 3 luglio 1570) scrisse quest’opera, la piú organica della letteratura riformistica in Italia, a piú riprese. Ne incominciò la composizione verso il 1536, quando si parlò di un concilio da tenersi a Mantova coll’intervento dell’imperatore e di molti principi della Germania. Ma allora stese solo le venti brevi testimonianze, che precedono il libro, proponendosi di recitarle «neglecto capitis periculo» in presenza dello stesso pontefice nel pubblico concilio. Non essendosi questo tenuto, sviluppò, non sappiamo con precisione quando, i suoi venti articoli in una lunga requisitoria, a cui pose il titolo di Actio in pontifices Romanos et eorum asseclas. Proponendosi di farla recitare un giorno nel concilio universale libero, che egli auspicò nella famosa lettera diretta a Lutero, a Butzer, Melantone e Calvino, la tenne prima nascosta fra le sue carte; infierendo poi la reazione cattolica in Italia, nel 1566, la mandò a Teodoro Zwinger a Basilea, raccomandandogli per allora di conservarla. Ma il concilio desiderato dal Paleario non si tenne mai, e VActio rimase sconosciuta fino al 1596, quando se ne trovò una copia ms. a Siena. Venne pubblicata a Lipsia dieci anni dopo (ex officina Voegeliniana). Fu poi ristampata, insieme con le altre opere del Verulano, ad Amsterdam nel 1696 (ap. Henricum Wetstenium), e infine, per cura dello Hallbaver a Iena nel 1728 (ex off. Christ. Frane. Buchii). Nel 1861 ne fu pubblicata a Torino una traduzione italiana, non fedele, a cura di Luigi De Sanctis. Ho tenuto presente in questa ristampa il testo dello Hallbaver, e l’ho riscontrato con quello di Amsterdam, in cui fu riprodotta la prima edizione lipsiense.