Pagina:AA. VV. – Opuscoli e lettere di riformatori italiani del Cinquecento, Vol. I, 1913 – BEIC 1888692.djvu/78

III Marcantonio Flaminio a Carlo Guai.teruzzi C onsiglia la lettura del De imitalíone Christi. Ho avuto gran piacere dell’avviso che m’ha dato Vostra Signoria della spedizione delle bolle, non solamente per l’utilitá mia, la quale invero è di qualche importanza, ma ancora per vedere sollevata Vostra Signoria di una parte del peso grave, ch’ella sopporta volentieri per amor mio. Quanto al consiglio che mi dimandate de genere libro rum, io dirò una cosa che forse vi parerá strana e sciocca; ma, volendo dire il vero secondo la mia coscienzia, è forza ch’io la dica. Io non saprei proporvi libro alcuno (non parlo della Scrittura santa) che fosse piú utile di quel libretto De imitatione Christi, volendo voi leggere non per curiositá, né per saper ragionare e disputare le cose cristiane, ma per edificare l’anima vostra e attendere alla pratica del viver cristiano nella quale consiste tutta la somma come l’uomo ha accettato la grazia dell’Evangelio, cioè la giustificazione per la fede. È bene il vero che una cosa desidero in detto libro, cioè che non appruovo la via del timore, della quale egli spesso si serve; ma basta esserne avvertito. Non giá che io biasimi ogni sorte di timore, ma biasimo il timor penale, il quale è segno o d’infedeltá o di fede debolissima. Perché, s’io credo da dovero, che Cristo abbia satisfatto per tutti i miei peccati passati, presenti e futuri, non è possibile ch’io tema di esser condannato nel giudicio di Dio, massimamente s’io credo che la giustizia e la santitá di Cristo sia diventata mia per la fede, come debbo credere, se voglio essere vero cristiano. Adunque il timor penale non è conveniente al cristiano, essendo conveniente a lui l’amor filiale. Ma bene è conveniente che il cristiano viva in un perpetuo timore di se stesso, temendo sempre che li suoi affetti e appetiti noi facciano fare alcuna cosa indegna della professione e dignitá