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PREDICA XXXIII

Del voto della povertá. Il vero cristiano non debba stare in ozio, ma esercitarsi in cose oneste a gloria di Dio, e, potendo, secondo l’ordine della caritá, vivere delle sue fatiche, si come Dio dopo il peccato comandò all’uomo; e, se Dio gli dá della robba, ricognoscerla da lui, e come sua possederla senz’amarla, se non in Dio, con usarla parcamente, e dispensarla secondo che Dio l’inspira a gloria sua. Or questa è la vera evangelica povertá, alla quale siamo tenuti per legge divina e naturale, e si è perfetta, che alla sua perfezione non si può aggiungere: però ogn’altro voto umano di povertá è superfluo e vano. Nientedimeno gli uomini hanno voluto aggiognere alla sommamente perfetta povertá cristiana el non avere robba, e si hanno fatto voto, pensando che in questo consista grande perfezione. Nientedimeno, si come l’avere delle ricchezze non è in sé né bene né male, ma l’acquistarle santamente o impiamente; cosí el non averne non è in sé né virtú né vizio, ma in dispensarle per impeto di spirito, fede e caritá, o vero il dissiparle; cosí nella sua povertá il contentarsi o no di quanto piace a Dio. Il non avere dunque robba non è in sé virtú, ed essi pensano che sia somma perfezione: però ne fanno voto. E, peggio, che molti di loro credono, per quello loro non possedere alcuna cosa, satisfare ai loro peccati, meritare supremamente ed essere sopra tutti gli altri perfetti, come se Cristo fusse per loro morto invano. Il voto adunque loro è vano, poiché è di non avere robba; il che in sé non è né bene né male: imo è impio, imperocch’el vero cristiano giá nel battesmo, renonziando al mondo e a se stesso, s’è in tutto commesso al governo di Dio. Però non debba dipoi legarsi con voti all’avere ricchezze o al non averne; Riformatori italiani del Cinquecento -1. 13