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atto quarto | 87 |
+v’ho fatte saran di cuore o si o no e s’io mostrarò di riconoscer l’obligo ch’io ho di spender questa vita ch’io ho da voi.
Marchetto. Giovar li potrete assaissimo a mio padrone, messer Lattanzio.
Lattanzio. Voi avete da saper, compare, che io e i miei fratelli non abbiamo altro padre che voi e ci terremo sempre per grazia aver occasione di mostrarvelo con effetti. Però ditemi, vi prego: che cosa è questa che vi dá travaglio?
Guglielmo. Ve lo dirò in due parole. Messer Giannino con parecchi compagni voglion venire ad amazzarmi in casa mia senza cagion nissuna.
Lattanzio. Oimè! Che mi dite? Che lo muove a far questo?
Guglielmo. Mi vo’ confidar con voi del tutto. S’è scoperto oggi, in casa mia, come quest’empia di Lucrezia e Lorenzino s’erano accordati insieme d’amazzarmi stanotte e andarsi con Dio. E holli racchiusi e legati con ferma deliberazione, a dirvi el vero, di farli morire come scelerati che sono. Or questo sapendo, per mala sorte, messer Giannino vuol venire a riscatar la giovane per forza e metter sottosopra tutta questa casa.
Lattanzio. Gran cosa mi dite! Mai non arei imaginato questo, di Lucrezia. Che ardire è questo di costoro? saremmo noi a Baccano? Or pensatevi, compare, che questa impresa de la difensione la voglio sopra di me perché séte vecchio e potreste far poco. Io ho tre fratelli, come sapete, che vi son figli nell’affezione, coi quali sarò in casa vostra. E vo’ che lassiate poi il pensiero a noi d’ogni cosa.
Guglielmo. Da un canto, compar mio, mi stregne la necessitá; e, dall’altro, non vorrei mettervi in questo pericolo, che mi par gravarvi troppo, pure.
Lattanzio. Voi ci fate ingiuria: perché, se voi sapesse con che animo lo faremo, non direste cosi.
Marchetto. Dice el vero messer Lattanzio. E poi, padrone, séte vecchio. Io arò, in questo mezzo, dell’altre faccende, come accade, e non potrei attendere. E cosí la casa andarebbe a sacco senza una fatica al mondo.
Guglielmo. Non so che mi fare.