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82 | l’amor costante |
Sguazza. Io non mi posso imaginare che cosa questa sia. Voglio udir piú oltre.
Vergilio. A che effetto, dunque, volete che Guglielmo avesse fatte queste demostrazioni?
Messer Giannino. Perch’io dubito che questo vecchiaccio non abbi sempre avuto in animo di godersi Lucrezia lui e piú volte si sia messo a pregamela e non gli sia riuscito e che, all’ultimo, sdegnato, gli abbia trovato questa trappola addosso per sfogare la sua rabbia.
Vergilio. Oh! Che magnanima vendetta sarebbe questa, ch? A ponto! Non lo crederei mai.
Messer Giannino. I vecchi, Vergilio, non sanno far le cose piú generosamente perché gli atti magnanimi son nimici di quella etá.
Marchetto. Io dico che gli è cosí come v’ho detto e che, stanotte, li fará amazzare.
Messer Giannino. Amazzare, ch? Questo non fará lui. Ahi vecchio gaglioffo, rimbambito! Or son chiaro che la cosa non può star altrimenti che com’io dico. Su, Vergilio! Vattene in casa e mette in ordine le nostre armi: ch’io insegnerò bene a questo moccicone ciò che gli è dar calunnia a torto alle povere giovani.
Sguazza. Vo’ saper che cosa è questa. Che ci è, messer Giannino? Voi séte molto turbato.
Vergilio. Messer Giannino, non fate. Mettereste a romor questa terra. Vedete di saper prima la cosa meglio.
Messer Giannino. Io so che non può star altrimenti: che, se fusse vero che Lucrezia avesse errato, la mandarebbe via e non cercarebbe d’amazzarla; che non è però sua figlia. Amazzarla, ch? Per Dio, non fará.
Sguazza. Dch! Ditemi, di grazia, che cosa gli è, che mi vo’ trovare ancor io a quel che s’ha da fare.
Messer Giannino. Questo gottoso, questo vecchio mal vissuto di Guglielmo pensa di voler far morire Lucrezia innocentemente, con una gaglioffaria ch’egli ha trovata che la conoscerebbeno i ciechi.