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atto terzo | 75 |
ordinato. E, per quanto io pensi, dubito che gli vorrá fare amazzare o stanotte o domane; perché mi manda con furia a San Domenico a menar fra Cherubino e, per non esser visti, vuol ch’io lo facci entrar da la porta di drieto. Certo, li vorrá far morire: veggo ben io la còllora che egli ha. Mai l’arei creduto, questo, di Lucrezia. Sai che non pareva una santa Anfrosina? Tutto ’l di paternostri, leggende e orazioncelle. Se tu gli avesse parlato, un tratto, una paroluzza d’amore o di simil cosa, guarda la gamba! Mai piú non me ne fidarei di queste strappa-santi. «Acque quete? Fan le cose e stansi chete». Va’ lá! va’ lá! Ma ecco Marchetto che viene in qua salticchiando.
SCENA VIII
Marchetto, Lucia.
Marchetto. Tarara, tarara, tarantera, cancar venga a mona Piera!
Lucia. Tu vai galluzzando, Marchetto, ch? E in casa si fa altro.
Marchetto. Addio, Lucia bella, galantissima.
Lucia. Tu ridi; e in casa si piagne.
Marchetto. Come «si piagne»? che male nuove ci sono?
Lucia. Tutta la casa è piena di romori, di confusione e di piagnisteri.
Marchetto. Vuoi la burla, si?
Lucia. Cosí fuss’io dell’imperadore!
Marchetto. Dimmi, di grazia: che ci è di nuovo?
Lucia. Male, per qualcuno.
Marchetto. Oh! Dimmel presto; non mi far piú stentare.
Lucia. Questo poltron di Lorenzino...
Marchetto. Certo la cosa s’è scoperta. Dimmi: ha saputo Guglielmo che Lorenzin portava e’ polli a Lucrezia per messer Giannino, ch?
Lucia. E ben portava. Se tu dicevi «mangiava», l’avevi còlta.