Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/86

74 l’amor costante


Agnoletta. Oh! ’l mio Cornacchion dolce, dell’oro, amor mio, camiciuola mia!

Cornacchia. Lassami chiuder la porta.

SCENA VII

Lucia serva di Guglielmo sola.

Non è maraviglia che questa Lucrezia gli faceva tante carezzine. Tutto ’l di: — Lorenzino, vien oltre; — Lorenzino, ode un poco. — Mai ci era altre facende che questo Lorenzino. «Sempre non ride la moglie del ladro». Vi vo’ contare a voi uomini: acciò che voi sappiate le maccatelle di queste cittadine che ci voglian tór le nostre ragioni a noi fantesche; perché i garzoni doverebbon di ragione esser nostri, non loro, l’engorde che sono! Udite un poco che cosaccia! Come noi abbiamo desinato, poco fa, volendo io andare da basso nella camera del pane per ripor sotto ’l saccone certo cacio ch’io volevo donare a Marchetto, sento, innanzi ch’io entri, un rimenio, un bisbiglio, il maggior del mondo. Acconcio l’orecchie alla porta e sento ch’egli è Lorenzino e Lucrezia che facevano un fracasso in su quel letto che pareva che lo volessero buttar a terra. Io. che di cotal cose mi son sempre dilettata, non solamente di farle ma d’udirle ancora, mi recai con l’orecchie attentissime per non perderne niente. E parsemi sentire, doppo che fu passata la furia, che si dicevano certe paroline e si facevano certe carezzuole da fare allegare i denti a un morto; e, all’ultimo, concludevano che volevano stanotte amazzare Guglielmo e andarsi con Dio. Quand’io sentii questo, rastia, sorella! E corro a Guglielmo e gli racconto ogni cosa. Come el padron senti questo, diventò bianco morto come una cenere; e subbito, acciò che non scappassero, serrò di fuora la porta della camera con una stanga e, fulminando come un aspide, chiamò presto certi vicini qui di drieto; e, mancato per ferri e manette, subito, legato Lorenzino e Lucrezia, li racchiuse in cantina: che piangevano e si raccomandavano come Dio sa fare e confessorono tutto l’inganno che gli aveano