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atto terzo 71

nell’animo che altarucci, orticelli, gattucci o simil frasche che elle hanno sempre nel capo.

Agnoletta. Voi ne séte mal informata. Gattucci con sonagli, si; ma non son soriani. E ne sanno piú, oggidí, le monache de le cose del mondo e d’amore che altra generazione. E non ci sarete stata due giorni che voi scoprirete maccatelle dei casi loro che vi faran trasecolare. In buona fé, che, se questi padri fusser informati delle cose stupende che ho visto io di questa generazion del diavolo, che stetti una volta due anni in un monistero, in buona fé, che le mandarebbon piú voluntieri... appresso ch’io noi dissi. Rabbia di monache? Va’ lá!

Margarita. Tal sia di loro.

Agnoletta. Orsú! Padrona, ecco che noi siamo ormai al munistero.

Margarita. Oh Dio! quanto mi duole d’avere a rimaner senza te! Pur m’importa piú che tu non perda tempo. Io mi farò metter dentro da me, che ci son stata piú volte e so d’onde s’entra. E tu, mentre, andarai a far quanto io t’ho detto. Mostra un poco, ch’io vegga se vi è drento ogni cosa.

Agnoletta. Eh! non toccate, che staremo poi troppo a racconciarlo. Vi fo certa io che ci ho visto dentro quattro camisce, vinti fazzoletti e dieci trincianti.

Margarita. Basta, dunque. Or tu hai inteso, Agnoletta: io non ti dirò piú; tu sai quel che tu hai da fare.

Agnoletta. Io ho a mente ogni cosa. Volete altro?

Margarita. Non altro se non che tu ci metta tutta la tua diligenzia.

Agnoletta. Non bisogna che me lo diciate piú. Addio.

Margarita. Or va’. E subito torna qui, come t’ho detto.

Agnoletta. Tanto farò.

Margarita. Odi. Vedi di pigliare il tempo commodo e d’avere avertenzia che non ci sia nessuno.

Agnoletta. Si, si, v’intendo.

Margarita. Sai, Agnoletta?

Agnoletta. Che volete?

Margarita. Eh! sorella cara, mi ti raccomando.

Agnoletta. Non dubitate. Uh! uh! uh!