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68 | l’amor costante |
che san fare. Tutto M di, quanchi, barzellette e bordelli; e poi, al bisogno, si cacan sotto.
Messer Ligdonio. Oh Dio! Fice arrore, ca dovea scrivere quisse parole in casa e impararele alla mente ad ver bum. Allo manco non m’avesse visto lo Panzana!
Margarita. Spacciati, Agnoletta.
Panzana. Basta che, tutto ’l giorno, fanno il bello in piazza, stringati, puliti, cantepolando su per i murelli e sospirando con qualche bel motto alla spagnuola: — Ay, seTiora, que me matais. — Fanno un giocarello a una veglia, sputando certi bei trattarelli, come sarebbe: — La vostra ingratitudinissima mi fa morire; — Voi séte piú bella de l’alto Dio; — Mi raccomando alla vostra bellezza. — Mi raccomando alla vostra castronagine, buacci, pasce-bietole che voi séte! Non ve ne fidate mai, donne, di quelli che scompuzzan tutta una veglia e fanno lo squartatore delle donne in presenzia delle brigate; che, a solo a solo, vi faranno di queste pruo ve che avete visto. E se si vantano, poi, Dio ve lo dica lui! Appiccatevi a queste acque quete che fan l’intronato; che, alla segreta, poi, vi riusciran cavallieri dalla spada sguainata. E lassate andar al bordel questi parabolani.
Ma lassami far motto al padrone.
Messer Ligdonio. Che fai, Panzana, ch?
Panzana. Mi stavo qua trattenendo a guardar queste donne.
Messer Ligdonio. Oh! Perché? che fanno?
Panzana. Che volete che le faccino? Si lassan guardare.
Messer Ligdonio. Hai sentito come è suta la cosa?
Panzana. Come volete ch’io abbi sentito, se voi mi diceste ch’io non sentisse?
Margarita. Che fai, Agnoletta? Par che tu l’abbi a fare, Gesú !
Agnoletta. Non trovavo la chiave del forziere dov’era ’l presente. Ma i’I’ho pur trovata; e ne vengo, ora.
Panzana. Come è andata, padrone?
Messer Ligdonio. Benissimo quanto dicere se pozza. E non passerá molto tempo... saccio ben io.
Panzana. Dissivi che gli eran vantatori? Mi piace!
Agnoletta. Eccomi, Margarita.