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66 l’amor costante


Messer Ligdonio. Voltate a me, se vói che te dica.

«L’escelso Dio ve salvi, eterno core mio...».

Panzana. Oh! Gli volete parlare in versi?

Messer Ligdonio. Parete vierso quisso, pecora? Non pò essere chiú alto principio. Non m’enterrompere fino ca non aggio finito. «L’eterno Dio ve salvi, escelso mio core, et cetera. Se la mia sensitiva avesse unquanco de aggradevole eloquenzia, a mal grado de’ limati denti, le mie soventissime parole transeriano siempre nelle vostre bianchissime orecchie ancora che da lo verdeggiante cielo scennesse love e, diventato oro lustrantissimo, se n’andò de passo in passo en grembio della zuccarata sua Leda. Però, morbidissima Margarita, dovereste esser compresa da una particulella de compassione de me». Dixi.

Panzana. Oh! che venga el cancaro a la Fortuna che non mi fece studiare ancor me! Or conosco ch’io non ho lettere. Che maladetta sia quella parola ch’io n’entenda, di tutto quel che voi avete detto!

Messer Ligdonio. Pur, che te ne pare?

Panzana. Come volete ch’io sappi quel che me ne pare, s’io non n’entendo parte, parte, parte? Io dico, parte.

Messer Ligdonio. Fidati de me, ca le parole son bellissime. Tutto lo fatto sta che me staga a sentire.

Panzana. Si stará bene. E ho pensato un’altra buona cosa: che coteste parole né la fantesca ancora l’intenderá.

Messer Ligdonio. Dice lo vero, a fede. Ma sai, Panzana, chello che me ne piace chiú de queste parole?

Panzana. Come l’ho a sapere, s’io non l’entendo?

Messer Ligdonio. Multo me sonno compiaciuto quanno io dico «soventissime parole», che nei è dentro nu colore rettorico ca tu non lo pòi conoscere. Ancora quilla «inzuccarata Leda» me caccia l’anima, benché io non me recordo bene se fo Leda o Dafne; ma no importa: basta che fu una de quille dello tempo antico de’ romani.

Panzana. State fermo: ch’io veggo aprire l’uscio di Margarita.