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42 | l’amor costante |
SCENA III
Ferrante in nome di Lorenzino e Corsetto.
Ferrante. Or ecco, Ferrante, che tu sei pur el piú felice uomo del mondo. Oh beato te! oh consolazion grandissima! lieto, divino, fortunatissimo Ferrante! oh allegrezza incomparabile! O Dio, o stelle, o sole, o luna! Oh! oh! oh! Non so che mi dire. A chi destinaste voi mai tanta felicitá quanta io sento al presente? Oh Dio! Dove potrei trovar Corsetto per sfogarmi alquanto con esso? che ora è venuto il tempo di palesargli quel che fin qui non ho voluto fare.
Corsetto. Che novitá sará questa? Costui impazza d’allegrezza.
Ferrante. Né crediate però ch’io sia cosí accecato da l’allegrezza ch’io non conosca di quanta importanza è la cosa ch’io gli vo’ confidare: che ci è dentro l’onore d’una singularissima donna e il pericolo della mia vita. Nondimeno a tai segni ho conosciuta l’amicizia sua essere perfettissima ch’io lo posso far sicuramente. Oltre che, io non potrei mandar a effetto quel che ho da fare senza l’aiuto suo. E che piú? S’io non mi sfogasse con esso, faria accorger tutta Pisa de la mia allegrezza.
Corsetto. Lassami pigliar questa occasione acciò che ei non si pentisse. Ferrante, Dio ti faccia ogni di piú contento.
Ferrante. Oh il mio Corsetto! Questo non faccia lui, che, ciò ch’io fusse piú, credo ch’io scopiarei. Oh quanto a tempo t’ho rincontrato! Ma, di grazia, non mi chiamar Ferrante; che, ancor che noi siam soli, el diavolo è sottile.
Corsetto. Che buone nuove ci sono questa mattina? Ma che! Tu non ti fidi di me: e quanto tu lo possa far sicuramente lo sai tu. E, per confessarti el vero, vedendo io che tu hai poca fede nei casi miei, ti cercavo stamattina per dirti apertamente come, considerando non servirti a niente, per non mancare al capitano, faceva pensiero di ritornarmene a Firenze.