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atto secondo | 41 |
SCENA II
Corsetto soldato solo.
Gli è pur vero el proverbio che si mangi uno moggio di sale prima che si conosca un omo. Io mi pensavo aver fatta una strettissima amicizia col miglior compagno del mondo, insieme col quale, sotto un medesimo capitano, nella guardia di Firenze, son vissuto, giá vicino a un anno, cosí amorevolissimamente che io mi tenevo per certo, misurando l’animo mio, che non ci potesse occorrer cosa che l’un non confidasse nell’altro. Ma quanto questo prezioso tesoro dell’amicizia fra rarissimi si trovi el pruovo or io, che comincio a trovar in costui che io vi dico tutto el contrario di quel ch’io mi pensava: perché son giá molti giorni che mi fé’pigliar licenzia dal capitano per due mesi e menommi in Pisa dicendomi d’aver qua cosa che gli importava quanto la vita, che me la conferirebbe poi; né altro ho visto che ci abbi fatto se non che subito si cambiò i panni e mutossi il nome, per Ferrante facendosi chiamar Lorenzino, ed èssi posto per vii servitore con questo Guglielmo che abita qui. Hollo pregato mille volte che mi dica quel che lo muova a far questo. — Doman tel dirò, posdomane tel dirò; — e per anco ne so’ a quel che prima e dubito che costui non sia entrato in qualche farnetico che ci capiti male. Or io, per ultima mia giustificazione, vo’ veder di trovarlo e pregarlo, per la nostra amicizia, che sia contento di ragguagliarmi di questa cosa. E, se pur vedrò che vada coperto con esso me, io li mostrarò come e’ son giá passati e’ due mesi e che, non avendo lui fede in me, per non mancare al capitano, vo’ far pensiero di tornarmene a Firenze. E cosí arò sodisfatto per la parte mia all’officio del buono amico. Penso che lo trovarò verso casa. Ma veggio aprir la porta. Gli è esso che esce fuora e mi par molto piú allegro del solito. Voglio stare un poco da canto ad ascoltar quel che dice, se, pensando egli non essere odito, gli venisse scoperto o tutto o parte di questa cosa.