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atto primo 35

cosí l’amore e la fede inverso Sua Maestá è cresciuta continuamente.

Guglielmo. È ben assai, perché non si trova al mondo il maggior tesoro che la pura, vera e libera fedeltá: la quale se principe alcuno stimò mai, questo imperadore è uno di quelli. E ne possono render testimonio molte nostre cittá di Spagna.

Maestro Guicciardo. Partita che sará poi Sua Maestá di Siena, io subito me n’andarò in Roma: dove, quanto alle facende mie e vostre, presto mi spedirò; ma ben mi ci vo’ fermar qualche giorno piú, per vedere se la corte ecclesiastica è cosí corrotta quanto si dice.

Guglielmo. Dubito che la trovarete molto peggio che voi non pensate. Ed io mi son pentito mille volte d’averci mandato mio figlio a impretirsi.

Maestro Guicciardo. Oh quante volte, Guglielmo, pensando a questo, mi son maravigliato che Dio non faccia vendetta! E certo me la par veder tuttavia dinanzi agli occhi.

Guglielmo. Io ci ho pensato spesso ancor io. E mi risolvo che questa reformazione della Chiesa con tutte l’altre grandi imprese necessarie al mantenimento della cristianitá si riserbino e sien destinate a questo imperadore. Il quale, se noi ben tutte le cose passate e le parti sue consideriamo, aviam da giudicare esser nato per acquistar la gloria e la resurrezione del nome cristiano per tutto il mondo.

Maestro Guicciardo. Cosí giudico ancor io. E credo che sará presto, se le demostrazioni de’ cieli e dei pianeti non hanno da mentire; perché ho studiato piú volte sopra di questo e trovo che sará certissimo.

Guglielmo. Dio lo voglia; e gli piaccia di mantenermi in vita fino a quel tempo.

Maestro Guicciardo. Ora io ho da fare parecchie faccende, innanzi che io sia spedito per cavalcare. Però vi lassarò.

Guglielmo. Penso che, innanzi che vi partiate, ci rivedremo. Non rivedendoci, ricordatevi della mia cosa.

Maestro Guicciardo. Dormitene di buon sonno sopra di me.

Guglielmo. Cosí farò.