Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/469


nota 457

l’altro! Oimè, la mia borsa! Lue. Eh! Voi l’avete e volete la baia del fatto mio. Ar. Si; vota! si; vota! Oh borsa mia! Tu eri pur piena. Lucido, aiutami, ch’io non mi reggo ritto. Lue. Oh! Voi séte a questo modo digiuno! Ar. Io dico che è la borsa. Oh borsa mia! oh borsa mia! oimè!».

A. iv, se. i. B (p. 177): «Erm. Cert’è che tu hai avut’una gran ventura... Ces. Ei non lo sa altri che tu, Marcantonio e Lucido». — L: «Erm. Certo, che tu hai auto una gran ventura. Non perché abbia guadagnato due mila ducati, che, volendo far l’uffizio dell’uom da bene, sei tenuto a restituirli; ma dico che non ti poteva accadere cosa piú opportuna, a farti conseguire il tuo desiderio di aver Cassandra, di questa e in questo modo: perché, s’ei sapesse che tu avessi i suoi denari, non si queterebbe mai fino a tanto che non gli riavesse. Dove che, a questo modo, lo farem consentir a tutti quelli accordi che vorem noi, rivolendoli. Ces. E’ non lo sa altri che Marcantonio, Lucido e tu».

A. IV, se. 2. B (pp. 178-9): «Erm... E meritamente, perché ei non è donna nessuna al mondo, né mai ne fu, credo, né sará... Marc. Figliuol mio, io t’ho gran compassione». — L: «Erm. E massimamente non essendo donna al mondo, né mai, credo, ne sará, che con lei di bellezza e di gentilezza si possa parangonare. Però, padre mio, vi prego che non vogliate opporvi alle mie ardenti fiamme; le quali è impossibile che da altra cosa che dal beneficio del tempo possano essere estinte. In tutte le altre cose i vostri comandamenti, i vostri prieghi mi saranno leggi fermissime; ma in questo, che non è in forza mia l’ubbidirvi, non vedo modo di potervi contentare. Marc. Figliuol mio, io ti ho per certo gran compassione».

Ivi. B (p. 179): «Marc.... Niente di manco e’ mi parebbe mancare dell’offizio del padre s’io non ti dicessi... A me basta che la ti piaccia e sia dabbene. E, a questo modo, farai contento te e me a un tratto». — L: «Niente di manco mi parebbe di mancare dello offizio del buon padre s* io non ti dicessi il parer mio in questo. Tu sai che non è nessuno, per scelerato ch’ei si sia, al quale non sia odioso l’usare con monache. Lassiamo stare il peccato che si cornette a presso Iddio, che è grandissimo; e dichiamo che non è cosa che dispiaccia piú alla maggior parte degli uomini che quando si vede qualcuno che cerca, in qualche cosa particulare, farsi differente dagli altri: si che, quando tu non l’avessi mai a far per altro, questo doverebbe essere possente a fartene distórre, per non ti provocare lo sdegno di Dio e degli uomini. Lasso stare ancora che s’ingiuria chi v’ha le figliuole e le sorelle e che si ci portano mille pericoli, andandovi. Però, figliuol mio, muta questo tuo amore in un piú ragionevole del quale tu possa ottenere il desiderato fine senza tanti pericoli: perché, grazia di Dio, non è figliuola in Firenze che i suoi non te la dessero volentieri. Dispuonti, adunque, a voler tór moglie e a darmi questo contento, che oramai n’è tempo. E non mi dá noia la dote. Mi basta solo che la ti piaccia e che sia da bene. E, a questo modo, potrai far contento te e me ad un tempo» .