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atto primo 33

diciate com’io son vivo e dov’io sono e che mi scriva interamente dell’esser suo e quanto ha che da casa non ebbe nuove di Ginevra mia figlia, di mio fratello e d’ogn’altra cosa nostra. E di questo mi vi raccomando: che lo facciate con diligenzia, che io non spero mai di riveder quell’ora ch’io ne sappi nuove.

Maestro Guicciardo. Tenetevi certo che, se v’andasse voi stesso, non fareste l’officio con maggior amore e diligenzia che farò io.

Guglielmo. Comandate poi a me, maestro Guicciardo. Vederete s’io ve ne renderò il cambio.

Maestro Guicciardo. Non se ne faccia piú parola. Pensate s’io ho da far altro e comandatemi.

Guglielmo. Non ve ne dirò altro. Ne starò sopra le spalle vostre.

Maestro Guicciardo. Cosí fate.

Guglielmo. Or, per mostrarvi che medesimamente le cose vostre mi sono a cuore, ho pensato di parlarvi d’una cosa che potrebbe tornare in utile e contento vostro.

Maestro Guicciardo. Dite; mi sará molto caro.

Guglielmo. Voi avete, se bene io ho inteso, una sola figlia, alla quale s’appressa oramai el tempo di richiedersi el maritarla.

Maestro Guicciardo. Gli è vero. E, quand’io m’abbattesse a cosa che mi piacesse, non aspettarci piú; ancor ch’ella è tanto divota e inchinata a le cose spirituali che mi mette pensiero el persuaderla a tór marito.

Guglielmo. Quando voi ve ne contentasse, io vi metterei per le mani uno mio amico il quale, invero, non è molto giovene; ma questo importa poco: dell’altre parti io credo che sia de’ miglior partiti che sieno oggi in Pisa.

Maestro Guicciardo. Come si dimanda?

Guglielmo. Messer Ligdonio Caraffi.

Maestro Guicciardo. Io non ho molto sua pratica; ma ho bene inteso che gli è persona molto vana, fastidiosa e mal voluto e, oltre a questo, non è natio pisano.