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atto quinto 435

          non dovette lasciarti il vero intendere.
          So come tu se’ fatto.
          Fazio.  Or vien qua, Noferi.
          S’almen i mie’ danar di Roma fussero
          in esser, come vuo’ dir...
          Noferi. Di ciò startene
          sopra di me.
          Fazio.  ... i’ mi lascerò svolgere.
          Noferi. Vo’ che lo facci, Fazio; ch’i’ promettoti
          che gli ha in borsa.
          Fazio.  Chi?
          Noferi. Giulio, el tuo giovane
          che chiamavi Bernardo. E conterátteli
          tutti.
          Fazio.  Iddio sa se son que’ propri
          che ora in casa avea; che tolto m’abbia,
          si come tien per certo Cambio Ruffoli,
          con sua diavolerie.
          Noferi. Che? Siete bestie
          amenduoi, a dirti il vero, a credere
          si fatte cose. Ma, per trarti il dubbio,
          ti vo’ ancor dir piú lá. Se tu accorditi
          a questo parentado amorevolemente,
          come tu debbi, anco que’ propri
          danar ch’avevi in casa ria possibile
          riveggia in viso; con questo: che ridere
          ne debba, perché l’è cosa piacevole.
          Fazio.  Dimmi chi me gli ha tolti; ed io promettoti
          di far ciò che tu vuoi e perdonargnene,
          sia chi si vuole.
          Noferi. El prometti?
          Fazio.  Promettolo.
          Noferi. Orsú! l’tei vo’ dire. Gli è stato Albizo.
          Fazio.  Albizo? Oh! Come fece?
          Noferi. Era in camera,
          quando gli riponesti.