Menica. Ah! Or conoscoti.
Tu se’ ’l garzon d’Alamanno Bisdomini,
nch vero? Gianni. Madesi. Menica. Sia col mal asino,
che ’l tuo padron è cagion d’ogni scandalo. Gianni. Dimmi un po’: che è accaduto? e che scandalo
è questo? Menica. Tel dirò; per ciò che io pensomi
che la cosa pur abbia aver buon termine. Gianni. Di’ su! Ch’è nato? Menica. Il tuo padron, ch’è un fístolo,
ci entrò oggi in casa; e ’l nostro Cambio,
che v’era, lo serrò in una camera,
credendo fussi un altro. Gianni. O non veddelo? Menica. Non, par a me. Ma non so ben contartela
a punto; perché siamo state al buio
serrate, piú di quattr’or’, la Lucrezia
ed io. Gianni. Chi vi serrò? Menica. Chi credi? Cambio. Gianni. Possa serrar le pugna! In fine, seguita:
che fé’, serrato che l’ebbe? Menica. Andossene
fuori. Gianni. E poi? Menica. Venne messer Rimedio
e un altro con Cambio. Gianni. Era Girolamo,
certo, quell’altro. Be’, segui. Menica. E, credendosi
che quel ch’era serrato nella camera
fussi figliuol di quell’uomo..., Gianni. Or rinvengola,
questa cosa.