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432 i bernardi

          Menica.  Ah! Or conoscoti.
          Tu se’ ’l garzon d’Alamanno Bisdomini,
          nch vero?
          Gianni.  Madesi.
          Menica.  Sia col mal asino,
          che ’l tuo padron è cagion d’ogni scandalo.
          Gianni.  Dimmi un po’: che è accaduto? e che scandalo
          è questo?
          Menica.  Tel dirò; per ciò che io pensomi
          che la cosa pur abbia aver buon termine.
          Gianni.  Di’ su! Ch’è nato?
          Menica.  Il tuo padron, ch’è un fístolo,
          ci entrò oggi in casa; e ’l nostro Cambio,
          che v’era, lo serrò in una camera,
          credendo fussi un altro.
          Gianni.  O non veddelo?
          Menica.  Non, par a me. Ma non so ben contartela
          a punto; perché siamo state al buio
          serrate, piú di quattr’or’, la Lucrezia
          ed io.
          Gianni.  Chi vi serrò?
          Menica.  Chi credi? Cambio.
          Gianni.  Possa serrar le pugna! In fine, seguita:
          che fé’, serrato che l’ebbe?
          Menica.  Andossene
          fuori.
          Gianni.  E poi?
          Menica.  Venne messer Rimedio
          e un altro con Cambio.
          Gianni.  Era Girolamo,
          certo, quell’altro. Be’, segui.
          Menica.  E, credendosi
          che quel ch’era serrato nella camera
          fussi figliuol di quell’uomo...,
          Gianni.  Or rinvengola,
          questa cosa.