Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/443


atto quinto 431

          dice costei? che potrebbe mai essere
          loro avvenuto?
          Menica.  Uh! uh! Mi cascò subito
          il fiato, quand’i’ viddi aperto l’uscio
          e che n’uscí Alamanno Bisdomini.
          Gianni.  L’ha nominato il mio padron. In fine,
          vo’ dimandar di questo caso. Menica!
          o Menica! Non odi, ch?
          Menica.  Che vuo’ tu?
          Gianni.  Vieni un po’ qua.
          Menica.  Oh! oh! A punto vengone!
          Se tu lo credi!...
          Gianni.  Deh, Menica! Ascoltami
          una parola sola.
          Menica.  Tu giá dettone
          hai una; e basta.
          Gianni.  Buono! Tu vuo’ ’l dondolo
          de’ fatti miei, ch, Menica?
          Menica.  Die me ne
          guardi! I’ non vo* coteste cose. Proprio!
          Gianni.  Vo’ dir che tu mi strazi.
          Menica.  I’ non ti strazio;
          ma ho altro che far che or attendere
          a ciance.
          Gianni.  Non son ciance, alla fé.
          Menica.  O spacciati;
          di’ sii ciò che tu vuoi.
          Gianni.  Che travaglio
          è il vostro, in casa? Dimmi un po’.
          Menica.  Va’ cercalo.
          Che ha’ tu a saper e’ fatti nostri?
          Gianni.  Importami.
          Menica.  O guarda un po’ come gli importa!
          •Gianni. Menica,
          per questa croce, che m’importa, credimi
          ch’i’ non burlo. Ma non mi conosci tu?
          Io son pur vicino.