Cambio.Or di’ sii! Ch’è accadutoti? Fazio.Te lo dirò. Per mezzo della lettera
di quel ribaldo, dagli Otto mi furono
e’ mia danar, che non mancava un picciolo,
fatti rendere. Cambio.E questa è la disgrazia
che tu di’, ch? Fazio.Ascolta, ch’è grandissima. Cambio.Or di’, via. Fazio.Ben sai che io posili
(non gli potendo dentro allo scrittoio
ripor, com’io dove’, perché mancavami
le chiavi allor) cosi, sotto la coltrice
del letto mio, in quel gruppo medesimo
che quel tristo gli ave’ portati. Or torno vi
per riporli e, credendo i danar esservi,
vi truovo rena. E so pur che benissimo
e con mie proprie man serra’ la camera
in modo ch ’a nessun era possibile
entrar senza la chiave che aveami
messa nella scarsella; che, tirandosi
a sé l’uscio, non vi è poi altro ingegno
che alzi il saliscende. Cambio.E non erano
alcuni in casa? Fazio.No, dico: che mogliama,
la mia figliuola e la fante andarono
ieri in villa; e ’l servidore ed Albizo
ancora eran fuori. Cambio.Altri potrebbevi
esser entrati? Fazio.No, Dio! che l’uscio
trovo serrato e, ’n quel lato medesimo
del letto, esser il gruppo e nel medesimo
modo legato. Uh! Cambio.Or ascoltami, Fazio.