Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/433


atto quinto 421

          Cambio. Or di’ sii! Ch’è accadutoti?
          Fazio. Te lo dirò. Per mezzo della lettera
          di quel ribaldo, dagli Otto mi furono
          e’ mia danar, che non mancava un picciolo,
          fatti rendere.
          Cambio. E questa è la disgrazia
          che tu di’, ch?
          Fazio. Ascolta, ch’è grandissima.
          Cambio. Or di’, via.
          Fazio. Ben sai che io posili
          (non gli potendo dentro allo scrittoio
          ripor, com’io dove’, perché mancavami
          le chiavi allor) cosi, sotto la coltrice
          del letto mio, in quel gruppo medesimo
          che quel tristo gli ave’ portati. Or torno vi
          per riporli e, credendo i danar esservi,
          vi truovo rena. E so pur che benissimo
          e con mie proprie man serra’ la camera
          in modo ch ’a nessun era possibile
          entrar senza la chiave che aveami
          messa nella scarsella; che, tirandosi
          a sé l’uscio, non vi è poi altro ingegno
          che alzi il saliscende.
          Cambio. E non erano
          alcuni in casa?
          Fazio. No, dico: che mogliama,
          la mia figliuola e la fante andarono
          ieri in villa; e ’l servidore ed Albizo
          ancora eran fuori.
          Cambio. Altri potrebbevi
          esser entrati?
          Fazio. No, Dio! che l’uscio
          trovo serrato e, ’n quel lato medesimo
          del letto, esser il gruppo e nel medesimo
          modo legato. Uh!
          Cambio. Or ascoltami, Fazio.