vero) i’ vo dicendo ad ognun d’essere
suo fratello; che è piú onorevole
ed a me ed a lei. Noferi. Di questo lodovi. Piro. Fratel si chiama e piú che fratel amala;
ch’è qui sol per suo amor e ave’ portataci
la dote per maritarla. Noferi. Non piacemi
quel dire «avea». Èssi mutato d’animo
per questo? Bernardo. No; ma nata una disgrazia
è: che dumila scudi, che portatoci
avea, come dicea, per questa causa,
mi sono stati tolti. Noferi. Come domine
tolti? e da chi? Bernardo. Qui, da un vostro Uficio. Noferi. Che fia moneta sbandita? Bernardo. No, diavolo!
Era tutt’oro. Noferi. Questo non può essere;
ch ’a Firenze non s’usan questi termini. Bernardo. Cosí è la veritá. E, se io colpevole
sono d’alcun error, ch’i’ possa incorrere
in tutti e’ mali. Noferi. Non giurate. Bernardo. Potendone
aiutar in tal caso, v’arem obligo.
Ecco il comandamento; che mi citono. Noferi. Questo è degli Otto. Bernardo. Si; gli Otto si chiamano. Noferi. Venite meco in piazza. I’ vogl’intendere,
prima, della Spinetta: ch’amicizia
grande tengo con quel messer Rimedio
che l’ha in casa, che, or or, ivi veddilo
con quel baro; e, poi, dell’altra causa