Fazio. Ve’ con che faccia anco rimprovera
e’ servigi! Assassino! ladro publico! Giulio. V vi dirò il vero, Fazio: io dubito
che vo’ non siate in voi. Che cose ditemi? Fazio. I’ sono stato in me d’avanzo. Bastati?
Pazzo era io quando di te fidavomi.
Ma non è ben che ’n parole multiplichi
con esso teco. Fa’ che mai piú capiti
dove io sia. E sia per sempre dettoti. Giulio.Dunque, mi date una buona licenzia? Fazio. Tu m’ha’ inteso. Giulio.Sta bene. Ed io pigliola;
che so che non mi mancherá ricapito.
Ma mi duol ben di non saper la causa. Fazio. Non piú. Giulio.E non piú sia. Fazio. Bernardo, mozzisi
qui. Va’; fa’ e’ fatti tuoi. Piú non si stuzzichi
questo fastidio ch’abastanza amorbaci. Giulio.De’ danar vostri che s’ha a fare? Fazio. Lasciane
la cura a me. Non pigliar tanti carichi
né tant’impacci; che, com’ho saputoli
ritrovar, cosí ancor guardar sapròmmeli. Giulio.Dunque, eran persi? Fazio. Orsú! non piú! Levatimi
dinanzi, che oramai tu m’hai fracido. Giulio.I’ me n’andrò, io. Fazio. Va’, che mai piú tornici.
Tu l’ara’ a far con altri. Ora bastami
aver il mio. Vogl’ir a far quell’opera
che ho disegnata; e non vo’ qui combattere
con questo tristo. So che gli ara a essere
agli Otto; e quivi vo’ che si giustifichi. Giulio. Io non so se costui s’è pazzo o se si
ha beuto troppo o gli umor malenconici