Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/381


atto terzo 369

          Bernardo.  Lo so; e giá non dubito
          che mi sie fatto torto.
          Piro.  Deh! Lasciatelo,
          padron, grachiare.
          Bernardo.  No, ch’i’ vo’ difendere
          l’onor mio. I’ v’ho detto e raffermovi
          ch’i’son Bernardo, io, d’Alberto Spinola;
          né ho vostri danari. E ch’il contrario
          dicessi se ne mente.
          Piro.  Or cosí piacemi,
          padrone.
          Bernardo.  Mai si.
          Fazio.  Non vo’ combattere
          teco. Ma fa’ pensier ch’e’ danar m’abbino
          a esser messi su.
          Bernardo.  Potrebbe essere.
          Fazio.  I’ saperrò ben io trovar quel proprio
          che gli ha riscossi, per tórli.
          Bernardo.  Trovatelo.
          Fazio.  Me n’andrò agli Otto.
          Bernardo.  Andatevene a’ sedici,
          se non basta otto; che io son certissimo
          che ’l mio non mi sará tolto.
          Fazio.  In nomine
          Domini, innanzi che sia sera, odimi,
          i’ vedrò in viso e’ mia danar.
          Bernardo.  Rispondere
          non vo’ piú.
          Piro.  Or cosí fate. Lasciatelo
          ir col diavolo.
          Bernardo.  Vadia. Ma io che deggio
          dir di questa faccenda?
          Piro.  Che vi dissi?
          Che gente è in questa terra! I’, per me, penso
          che questo vecchio, al fermo, abbia notizia