Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/379


atto terzo 367

          Bernardo.  E a lui proprio
          parlarete, parlando a me.
          Fazio.  Son favole.
          I’ vorre’ lui, in fine.
          Bernardo.  Orsú! Bisogna
          ch’i’ parli aperto. Io son Bernardo Spinola,
          io. Quel che vi occorre dire ditemi.
          Fazio.  Dite che siete vo’ Bernardo Spinola?
          Bernardo.  Messer si, s’i’non fu scambiato a balia.
          Fazio.  Credo me lo vorresti dar a credere,
          a mano a man.
          Bernardo.  Che creder? Son certissimamente.
          Fazio.  Bernardo ch’i’ vo’ non è simile,
          giá, a voi.
          Bernardo.  Ben, be’. I’ son io, dicovi.
          Fazio.  Questo non porta a voi, e per chiachiera
          la pigliate; se un altro, giá, non chiamasi
          cosi in cotesta casa.
          Bernardo.  In casa Spinola
          non è altro Bernardo, che io sappia.
          E son venuto da Roma. Bisogna
          certamente che io sia io quel proprio
          a cui volete parlare. Guardatemi
          bene.
          Fazio.  I’ so ch’i’ non ho le traveggole.
          E non siete esso.
          Bernardo.  I’ non so che «traveggole»:
          una volta io son io Bernardo proprio,
          vogliate o no; e cosí d’esser giurovi
          da gentiluom.
          Fazio.  Vo’ volete la baia
          con esso meco. E’ non è ragionevole,
          però, uccellar un mio pari; e massimamente
          sendo forestier.
          Piro.  Non è solito