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atto terzo 363

          di poi, scontrammo le galee di Napoli
          ch’andavano in Ispagna. E, combattendoci,
          ebbeno in lor balia la fusta propria
          dove era la mia figliuola: onde stimomi
          che l’amiraglio la menassi a Napoli.
          Messer Rimedio.  Di vo’ che avvenne?
          Girolamo.  Son stato, piú d’undici
          anni, prigione a remare.
          Messer Rimedio.  Oh povero
          uomo! Ma come poi venisti libero?
          Girolamo.  Venni, mercé delle galee di Francia:
          le quali, dopo quel tempo che dettovi
          ho, preson tutte l’altre fuste; e poson me
          a Marsilia, ora è sei mesi, ove poveramente
          son dimorato. E, se non fussi
          che v’eran certi della patria mia,
          io la facevo molto male.
          Messer Rimedio.  Credovi.
          Girolamo.  Ed or son in cammin per ire a Napoli.
          Intanto, per la via, vo del continovo
          domandando in tutti e’ luoghi ove trovomi
          di questo mio figliuol.
          Messer Rimedio.  Ben fate. E, s’io vi
          posso esser in niente favorevole,
          richiedetemi pur; che, per Dio, increscemi
          de’ vostri affanni. I’ mi chiamo Rimedio
          Bisdomini; e colá, in quella casa, abito.
          E voi com’avete nome?
          Girolamo.  Girolamo
          Fortuna. Ma ben «trista», puossi aggiugnere;
          e direbbesi il ver.
          Messer Rimedio.  Or be’, Girolamo.
          Com’i’ v’ho detto, s’en conto alcun possovi
          far ben, io son parato.
          Girolamo.  I’ vi ringrazio,
          quanto so e posso. E, dimorandoci