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atto secondo 341

          Cambio.  E te in anima
          e ’n corpo; che ma’ piú improntitudine
          vidi tale.
          Fazio.  Né io. Or apri, e leggila
          a tu’ agio.
          Cambio.  I’ piglio gli ochiali, e leggola.
          Zan aiuolo. Che degg’io or dire a questo giovane?
          Dirò d’averla data a chi e’ dissemi:
          ch’altramente mi saria forza il rennerli
          li danar che mi dette; e saria il diavolo!
          Cambio.  Oimèi! oimè! Traditor pessimo!
          A questo modo, a questo mo’ si trattano
          gli uomini da bene?
          Fazio.  Che hai? che domine
          t’ha e’ fatto? Di’ sii.
          Cambio.  Oimè, Fazio!
          Oh Fazio! Tu ed io traditi siamo.
          Fazio.  Da chi?
          Cambio.  Da questo tuo Bernardo Spinola.
          Fazio.  Oh Dio! E’ mia danari!
          Cambio.  Tien qui; e leggila
          da te; e ’ntenderai da te, leggendola,
          lá mia vergogna e ’l tuo danno.
          Fazio.  Dio, aiutami!
          «Tuo, piú che servidor, Bernardo Spinola».
          Gli è ei che scrive. Io conosco benissimo
          la mano. Ma perché tanto s’umilia?
          Cambio.  Leggi, di grazia, se vuo’ ’l tutto intendere.
          Fazio.  «Carissima, e da me, piú che la propria
          vita, amata, a te, quanto è possibile
          mi raccomando». A chi scriv’ei?
          Cambio.  Deh! Leggila
          infino al fin: che so che tu ha’ ’ntendere
          cosa che t’ha, non men che me, affliggere.
          Fazio.  Iddio m’aiuti. «Staman, colla grazia
          d’Iddio, giunsi a Firenze di buon animo...».
          Oh! Costui è pur tornato.