Cambio. E te in anima
e ’n corpo; che ma’ piú improntitudine
vidi tale. Fazio. Né io. Or apri, e leggila
a tu’ agio. Cambio. I’ piglio gli ochiali, e leggola.
Zan aiuolo. Che degg’io or dire a questo giovane?
Dirò d’averla data a chi e’ dissemi:
ch’altramente mi saria forza il rennerli
li danar che mi dette; e saria il diavolo! Cambio. Oimèi! oimè! Traditor pessimo!
A questo modo, a questo mo’ si trattano
gli uomini da bene? Fazio. Che hai? che domine
t’ha e’ fatto? Di’ sii. Cambio. Oimè, Fazio!
Oh Fazio! Tu ed io traditi siamo. Fazio. Da chi? Cambio. Da questo tuo Bernardo Spinola. Fazio. Oh Dio! E’ mia danari! Cambio. Tien qui; e leggila
da te; e ’ntenderai da te, leggendola,
lá mia vergogna e ’l tuo danno. Fazio. Dio, aiutami!
«Tuo, piú che servidor, Bernardo Spinola».
Gli è ei che scrive. Io conosco benissimo
la mano. Ma perché tanto s’umilia? Cambio. Leggi, di grazia, se vuo’ ’l tutto intendere. Fazio. «Carissima, e da me, piú che la propria
vita, amata, a te, quanto è possibile
mi raccomando». A chi scriv’ei? Cambio. Deh! Leggila
infino al fin: che so che tu ha’ ’ntendere
cosa che t’ha, non men che me, affliggere. Fazio. Iddio m’aiuti. «Staman, colla grazia
d’Iddio, giunsi a Firenze di buon animo...».
Oh! Costui è pur tornato.