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spagnuolo e prologo 21


Guglielmo. Oh! Come?

Sguazza. Come? A risolvervi, a un tratto, a dare el «sì» a questa cosa.

Guglielmo. A qual cosa? a dar Lucrezia a messer Giannino?

Sguazza. A cotesta, sì. E, se voi lo fate, messer mio, siate certo che voi mi fate il piú felice e ’l piú aventurato uomo che fusse mai al mondo; perché m’ha promesso messer Giannino, se gli porto la resoluzione, di farmi padrone di tutto il suo, ch’io spenda e rispenda a modo mio, gitti e mandi male quant’io voglia. E vi potete pur pensare se, fra tanta robba, io sapessi sguazzare o sì o no. E, dal vostro canto ancora, ho pensato e ripensato e non so conoscere per che cagione vi movete a non conte ntarvene. Costui è giovane, bello, ricco, liberale, gentile, nobile, virtuoso; vive bene in casa. Potrete ben cercare che voi non trovarete mai il piú galantuomo, la piú santa persona e ’l miglior compagno di messer Giannino. Sì che io vo’ che voi non ci pensiate piú. Che ne dite? volete?

Guglielmo. Sai, Sguazza, ch’io t’ho detto mille volte ch’io non lo posso fare; sì che io vorrei oramai che né tu né messer Giannino me ne rompesse piú il capo.

Sguazza. Non potete perché non volete. Che vi tiene?

Guglielmo. Pensati che, se fusse possibile, ch’io lo farei.

Sguazza. O perché non è possibile?

Guglielmo. Io son contento dirti la cosa come la sta acciò che non me n’abbiate a dar piú impaccio. Tu ti debbi forse ricordare quando mi fu donata questa Lucrezia da uno mio amico gigliese el quale, con parecchi suoi compagni, l’aveva tolta da certe fuste di mori e ammazzatone molti.

Sguazza. Me ne ricordo; ma che importa questo?

Guglielmo. Or io, parendomi costei nell’aspetto assai nobile e gentile, li posi grandissima affezione quanto a propria figliuola e feci pensiero di tenirla in casa qualche anno e dipoi maritarla. Ma, la prima cosa ch’ella facesse, mi pregò, per l’amor di Dio, o ch’io la facessi morire o ch’io li prometesse sopra la fede mia di mai ragionarli di marito.