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Allo illustrissimo ed eccellentissimo signore il signore Cosimo de’ Medici duca di Firenze il devotissimo servidore Francesco D’Ambra.

Avenga che tutti i buoni servidori, illustrissimo ed eccellentissimo signore duca, debbino e sieno tenuti, per ogni modo a loro possibile, ingegnarsi di far sempre cosa che sia grata ai loro padroni e signori, quelli a ciò fare sono massimamente obligati che da loro qualche rilevato beneficio hanno ricevuto: e, mancando eglino di questo, sono senza dubio degni di grandissima riprensione; per ciò che, come tutti e’ peccati sieno detestabili e brutti, quello della ingratitudine sopra tutti gli altri fu sempre da tutti gli uomini dannato e tenuto bruttissimo. Per la qual cosa, essendo io stato dalla Eccellenza Vostra illustrissima beneficato, e ancora molto piú che io, per le mia debili opere, meritassi, non ho giá mai potuto trovare quiete d’animo infino a tanto che io, se non in tutto, almanco in qualche parte, del ricevuto beneficio non me le mostravo grato; ma, non essendo in me altre facultadi di ciò fare che li mie’ studi e quel poco d’ingegno che dalla natura mi è stato conceduto, mi sono sforzato, per quelli mezzi, in quel modo che io ho potuto e saputo migliore, satisfare in parte a cosí fatto debito. Laonde, avendo, alli giorni passati, composto nella nostra lingua una comedia, deliberai, lasciati da parte tutti i rispetti, in qualunque modo ella si fusse, per la cagione giá detta, a Vostra Eccellenza illustrissima farne un presente: pregando umilmente Quella che si degni, se non come cosa degna di pervenire a tanta altezza, come cosa almeno d’un devotissimo ed affezionatissimo servidore di lei, con lieta e benigna fronte riceverla; imitando, in questo, Dio ottimo e grandissimo, al quale, non riguardando egli alli stessi doni ma al buon animo e volontá di chi gli offerisce, talora molto piú grate