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288 | il ragazzo |
amorevolezza o per altra qual si sia cagione, avevi rivolte sottosopra nel danno mio hanno ora cosí lieto fine, io ti perdono. Ma impara, un’altra volta, a non uccellar gli uomini della sorte mia; e, appresso, ad esser piú cauto.
Ciacco. Ho peccato, signore. Abbiatemi misericordia.
Valerio. Si, che egli non ne fará piú niuna! "N Pedante. Or vedi tu, poverino, l’opera che sa fare un par mio? che irridevi alle mie parole. Il tutto è niente al sale degli uomini dotti.
Messer Cesare. Or dimmi, Ciacco: ov’è Flamminio? Va’; digli che venga a me, ch’io gli ho perdonato e l’amo come prima.
Messer Lucio. Egli è in casa del mio signor insieme con la nuova moglie e la madre di lei: che, avendo inteso Sua Signoria questo da Ciacco, cosí le è piaciuto; e vuole che la festa d’amendue le nozze si faccia appresso di lui. Per ciò meglio sará che vi si indrizziamo oggimai, per dar licenzia a questa brigata.
Messer Cesare. Ciacco, porta, adunque, tu questa buona novella a madonna Agnela. Valerio, non t’aveva veduto. Verrai tu meco.
Valerio. Posso ben venirci ora sicuramente senza paura di danno della casa.
Messer Lucio. Perché non vi viene ancora la consorte vostra?
Messer Cesare. E amalata di febbre. Ma penso che, tosto che la buona novella le giungerá alle orecchie, ella, di subito» sará guarita.
Messer Lucio. Noi andiamo, adunque.
Messer Cesare. Andate prima voi, gentiluomo.
Messer Lucio. Anzi, la Signoria Vostra, per ogni rispetto, oltre all’etá.
Messer Cesare. Vada pure la Signoria Vostra come quella che rappresenta la persona del cardinale.
Pedante. Lasciate che prevadino li sponsi che sono i capi della festa.
Messer Lucio. Fateci voi la strada, domine doctor, ch’io m’era scordato di Vostra Eccellenzia. Poi messer Cesare.