Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/288

276 il ragazzo


Belcolore. Un bel giovane.

Pedante. Ha egli nome in baptismo?

Belcolore. È detto Flamminio.

Pedante. Di chi è egli genito? chi l’ha procreato? di chi è figliuolo?

Belcolore. Che so io? D’un gentiluomo ricco e da bene.

Pedante. Hai in memoria il nome? /* Belcolore. Si, si; m’è venuto or ora: messer Cesare.

Pedante. Quam bene interrogavi eam! Nodum in scirpo quaerebam.

Belcolore. Veniteci, donzellone; che direte poi il calendario un’altra volta.

Pedante. Tu hai preso un granchio perché io non son quello che tu vai cercando. Certo, ch’io non son fatto ad immaginem et similitudinem suam.

Belcolore. Non m’avete voi detto che eravate desso?

Pedante. E te lo dico iterum, che sono io. E, se io sono io, sarebbe cosa obbrobriosa e noviter impressa a volere essere pre’ Romano.

Belcolore. E chi séte, adunque?

Pedante. Filosofo, hoc est sapiente, dotto, eloquentissimo.

Belcolore. Ora vi potete tenere da piú della Guglia, sendo tante cose. Oh che bella fronte di pazzo! State con Dio.

SCENA VI

Pedante solo.

È pure imperfetto animai la femina, irrazionale e pericoloso. Ogn’altro uomo avrebbe fatto risposta a questa famula: io eccetto, che mi reggo sempre con providentissima prudenzia né mi lascio trasportare alla còlerá. Ma ben è vero quel detto de’ sapienti che «sors omnia versat». M’ha mandato inanzi questa insipida acciò che io sapessi molto bene a punto lo scelere di Flamminio. A suo danno reprchensi eum. Meo sum officio