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atto terzo | 263 |
SCENA XVII
Spagnuolo ritornato, Camilla, Valerio.
Valerio. Ah cielo! Come, in una brieve ora, si vanno cangiando gli affetti d’Amore e di questa manigolda Fortuna. Ora avea meco il mio bene e ora l’ho perduto. Ahi lasso! Da qual parte incominciarò io a lamentarmi? Ma non è quella la signora mia? Ah tristo me! Che vuol fare di lei quel ribaldo? A tempo io giungo.
Camilla. Ecco chi viene a mia difesa, lodato sia Iddio. Vedete audacia di poltrone! Vedete, signore.
Valerio. Cotesto è il tuo nobile amante. Oh misera te! Ti fo la croce.
Spagnuolo. Aspetta, ladro, traditore! Ove fuggi tu?
Camilla. Signore, lasciatelo andare, che ringraziato sia Iddio del mio vedervi sano e libero dalle mani di coloro. E, poi che^ la ventura ci ha raccongiunti insieme un’altra volta, non aspettiamo che la disgrazia ci diparta piú.
Spagnuolo. Io veggio ben che i nostri congiungimenti sono descritti in cielo; ed oggimai prendo fede che accidente contrario non ne potrá disgiunger mai.