Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/272

260 il ragazzo


SCENA XIII

Messer Ascanio, fratel della madre di Livia, solo.

Io credo che, insino a quest’ora, l’uccello ara dato del capo nella rete. Pensavasi forse Flamminio d’aversi, con le spesse ambasciate e con le lunghe sollecitudini, acquistata Livia per concubina? Le cose aranno un altro fine.

SCENA XIV

Caterina, uscita di casa, con argenti e altre cose nelle mani. Questi, una fiata, saranno miei. Ho bene io appostato luogo dove non sarò scoperta d’alcuno. Giovami che ci so essere quando io voglio e che Ciacco mi ama. E, quando tutto mancasse, cambiati gli argenti in oro, mi partirò di Roma. A ogni modo, non ci si può vivere. Io n’andrò a Vinegia dove forse Domenedio mi manderá delle venture; e so che, avendo qualche denaio, non mi mancare marito; e odo dire che egli è buon vivere a Vinegia e che lá sono i veri gentiluomini. Questi non hanno a far con loro né gli vanno appresso delle miglia piú di cento e millanta. Addio, casa. Io mi ti raccomando.

SCENA XV

Camilla sola.

Ahi lassa me! Quanto brieve è stata la felicitá mia! Anzi, come bene son nata al mondo per non esser mai felice! Che dico felice? Anzi, pure senza lagrime un giorno solo. Ora, che era venuto quel tempo che io piú che ogn’altro disiderava, quel tempo nel quale io devea trovarmi nelle braccia del signore mio, seguendolo, a pena m’era allontanata di qui, che ci troviamo nel mezzo di cento spade; né sentimo dire altro che