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atto terzo 259

mi sono affaticato d’acquistare, l’obligo mio è di si fatta grandezza che, quando io morissi per voi, sono ben certo che non ne arei pagato una minima parte. Per ciò voi disporrete di me quanto vi sará in grado, che la servitú mia non è per finirsi se non per morte. Né giudicare che possa esser mio onore dove non sia il vostro; né mia vita senza la vostra.

Caterina. Parole dolci e inzuccherate.

Camilla. Signor mio, ove mi condurrete voi?

Spagnuolo. Dove v’ho io a condurre, anima mia, se non in quella casa la quale ha ad essere perpetuamente vostra, dovendo voi sempre viver con meco ed io con voi?

Camilla.- Non si tardi piú, adunque.

Caterina. Domenedio vi benedica con la sua mano.

SCENA XII

Caterina sola.

Da che tutti hanno a darsi buon tempo e sono su le imprese d’amore, ora, che io mi veggo un bel tratto, che sto io a indugiar, prima che torni Valerio e Flamminio, a prender ciò che io posso e sgomberare? Perché, tosto che ’l padrone ritornerá dalla caccia amorosa, non trovando in casa Camilla, come anderanno le cose? Egli mi vorrá isquartare: come se io n’avessi tutta la colpa, di questo fatto! e non fosse egli molto piú avvenuto per la sua dapocaggine, che è impazzito dietro le femine e non prende cura di maridar la figliuola, quasi che ella non fosse di carne. Io dico che, se gli uomini sono uomini, e le donne sono donne. O vecchio pazzo, prendi il guadagno che tu ne arai. Io, per me, non vorrei che al ritorno egli vi trovasse per insino alla casa. Ma che sto io a fare? Ho forse bisogno di consiglio? poi ho udito dire ch’egli è gran senno a tórsi del bene quando Domenedio ne manda altrui.