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252 | il ragazzo |
Messer Cesare. A me non piace; né voglio che vi stia.
Valerio." Se vi stará, come farete voi che egli non vi sia?
Messer Cesare. Va’, or ora, per lui e di’ al signor Fabrizio che me lo rimandi, che io non voglio che il mio figliuolo s’avezzi a dormire le notti fuori di casa; che talora egli mi potrá dare ad intendere d’essere a cena con lui, o col tale gentiluomo, e sará con le Maddalene o con le Angele. Non gliel voglio comportare a modo niuno. Vanne.
Valerio. Voi sete il sollecito padre! Ma, se non temete che egli vi torni a casa gravido, non abbiate paura d’altro; perché io vi so render certo che il vostro Flamminio ha le labra ancora tinte di latte né sa quello che sia amor di donna.
Messer Cesare. Né mi curo anco che egli il sappia di qui a gran pezza.
Valerio. Cioè, allora che sará nella etá che siete voi.
Messer Cesare. Basta mò. Io t’assicuro che gli amori delle puttane son rasoi che scorticano la pelle e veleni che attoscano il cuore. Siano lontane dal mio figliuolo queste fiamme.
Valerio. Avete lassato un punto.
Messer Cesare. Aspetto d’intenderlo.
Valerio. Che elle scannano le borse e fanno loro uscir fuori l’anima.
Messer Cesare. Il peggio è, al mio parer, della vita e dell’onore che delle borse.
Valerio. L’onore e la vita sono a punto quelle cose che si stimano meno, a questi di; e, se vedete uno che non si dolga della borsa quando una puttana glie ne scanna, abbiate per cosa ferma che molto minor stima fará costui dell’onore e meno si dorrá, perdendolo.
Messer Cesare. La vita ove lassi tu?
Valerio. Cotesto è un passo un poco duretto. Tuttavia pensate che, se l’uomo avesse in quel conto la vita che si dee avere, non la metterebbe tuttodí a pericolo cosí scioccamente per una femina come egli la mette e amarebbe piú sé medesimo che altri. Ma ecco il vostro fedele; ecco lo armaio de’ vostri secreti.
Messer Cesare. Tu va’ per Flamminio; e non star piú.