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248 | il ragazzo |
Giacchetto. Come diavolo a basciare un vecchio il cui fiato pute, bavoso, con tre denti soli...
Ciacco. Che ne sai tu? Anzi, non vidi io mai vecchio che, dei suoi anni, avesse piú gentil fiato né la piú bella e spessa dentatura.
Giacchetto. A sua posta. Io lo basciarò meno che io potrò.
Ciacco. Vorrei saper come farai questo bascio, di maniera che egli abbia della donna e della donzella.
Giacchetto. Lo basciarò in questo modo.
Ciacco. Questo bascio è troppo stitico, troppo da romita.
Giacchetto. Farò cosi.
Ciacco. Quest’altro è bascio da cortigiana. Non voglio che tu ci metta la lingua.
Giacchetto. Lo basciarò in quest’altra guisa.
Ciacco. Non potrebbe star meglio: bascio a punto da simpliciotta.
Giacchetto. Se egli mi chiedesse la lingua?
Ciacco. E tu a ricusargliele.
Giacchetto. Ecco che io saprò il tutto. Ma questo e niente mi par tutt’uno.
Ciacco. E perché?
Giacchetto. Può egli essere che costui abbia tanto della pecora che non s’avegga, stando io seco, se io sono la sua amorosa o no? Non l’ha egli veduta?
Ciacco. Io ti dico che sei tanto simile e di volto e di persona a Livia che piú volte ho dubitato che ambedue non siate figliuoli d’un medesimo padre.
Giacchetto. Io non voglio creder che mátrema sia stata ■da piú delle altre femine.
Spagnuolo. Io penso che, oggimai, a mano a mano a mano, sia appresso la mezza notte.
Ciacco. Non sono a pena tre ore.
Spagnuolo. Son molto lunghe le ore di questa notte! Credo che abbiano invidia alla felicitá mia.
Ciacco. Troppo tosto se ne andranno. Voi ascondetevi qui d’intorno; che, in questo mezzo, condurrò madonna...