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14 l’amor costante

a una donna la qual par che tanto conto ne faccia quanto della piú vil cosa ch’ella possa vedere. O donne (dell’ingrate parlo), di quanto male sète cagione! quanto meritareste che sopra di voi si facesse vendetta della vostra ingratitudine! Né altra pena saprei io trovar pari al peccato vostro se non che voi provasse, una volta, ad arder d’amore quanto questo povero di mio padrone né, per arrabbiar che voi facesse, trovasse mai chi si degnasse muoversene a compassione. Forse, forse voi non fareste tanto del grande e dello schifo. Ma io non voglio piú perder tempo, avendo a trovar Marchetto. Sará buono che io vada di qua; che, a questa ora, egli sará in piazza.

SCENA III

Messer Ligdonio poeta, Panzana servo.

Messer Ligdonio. Malann’aia l’anima degli morti tuoi, Panzana! Aggioti sempre accorgere d’ogni piccola cosa, che mai per te medesimo indenni cosa nesciuna?

Panzana. Chi arebbe pensato mai di farvi dispiacere a ridere quando voi, ragionando, dite qualche bella caprestaria, come faceste iersera?

Messer Ligdonio. Tu sei poco pratico. Li servitori buoni non hanno da ridere in presenzia delli padroni quanno nce sono forestieri e massimamente femmene a chi io voglia bene; como fo iere a sera, a quella veglia in casa di mastro Guicciardo.

Panzana. Oh! Non v’intenderebbe tutto ’l mondo.

Messer Ligdonio. Perché?

Panzana. Perché voi fate l’amore oggi con questa e domane con quella. E io non arei mai pensato che iersera, a quella veglia, vi fusser donne che vi piacessero; perché mi credevo ch’ai presente fusse la vostra amorosa madonna Chiostrina.

Messer Ligdonio. Sapíentis est mutare propositum acciò che le male lingue, dopo molto fantasticare che fanno sopra de’ casi miei, non s’apponghino a lo vero e non mi iudichino con rascione.