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244 il ragazzo


SCENA VIII

Ciacco solo.

Costui dee far pensiero di starvi un mese almeno, tanto il sento riscaldato. Stia quanto gli piace, la quaglia ara ad esser sua o, per dir meglio, egli metterá il luscignuolo nella sua gabbia. E chi dubita che io non abbia ordita questa trama col voler della madre di Livia? Ben lo saprá egli. Cosí da tante parti sará il mio guadagno che, a questa volta, mi farò ricco.

SCENA IX

Pedante solo.

Proh deum atque hominum fidem! Oh mondo pien di scelere e di spurcizie! Ben è vera quella saluberrima sentenzia del neapolitano poeta Accio Sincero Sannazarius che «tanto peggiori piú quanto piú inveteri». Si doverebbe scriverla in lettere d’oro. Certe, un uomo probo come son io, un uomo litterato, un uomo facondo non può venire hac tempestate per le calumnie dei malevoli. Oggi non si porge auricula alle parole dei savi, ma di ruffiani, di parasiti, di ganimedi e di simili cinedi e scelesti homunculi solamente. Ecco, io che, per riprendere ex toto corde, con zelo di caritá, Flamminio del mal cepto itinere della voluptá, de buono opere lapidatus sum. Che bisogna fare, adunque? Oportet riputarsi d’essere elingui et sine oculis; cioè, se vedi i vizi, se gli ausculti, chiuder gli occhi e tacere. Aliter actum est, non si può viver, dico. Posthac nullum verbum faciam. Et con questo optimo consiglio, poi che ’l rutilante et clarum iubar febeo s’inchina all’occaso per acquiescere, la notte, nel gremio di Tetide dea marina, io, passo passo, me ne andrò al mio tugurio ornato solo d’ottimi e pulcherrimi libri: ove, incumbendo alle virtú, m’allontanarò in tutto dal vulgo ignaro.