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242 il ragazzo


Pedante. A me non puoi attribuire istam rem, Flamminio.

Flamminio. Anche voi non séte un santo. È ben vero che io vi conosco di quelli che vogliono esser intesi ai cenni solamente.

Pedante. In queste tue parole s’asconde una gran medulla; e parli molto ironice.

Flamminio. Sapete bene dovè io m’aviso con l’arco.

Ciacco. Messere, interpretate Vostra Eccellenza queste parole, tanto che le intenda ancora io.

Pedante. Flamminio, quel che ti dico vogli accipere in buona parte. Sai bene che mea interest a darti i buoni precetti piú che a insegnar grammatica. Et è proverbio di vulgari che «le lettere non danno il senno».

Ciacco. Ah! ah! ah! Voi avete fatto come fa uno che vuol tirar di punta a colui con chi combatte e viene a dare col fronte in qualche stecco che cava l’occhio a se medesimo. Questo proverbio è contra voi, benché ne abbiate poche delle lettere.

Flamminio. Taci tu, un poco, di grazia.

Ciacco. Comanda pure.

Flamminio. Che dite voi di precetti, poverino? Non vi ricordate di qual sorte precetti mi volevate dare una volta? che meritareste essere arso. Giovami che io ho piú cervello di voi e non voglio discovrire le vostre ribalderie. Ma giuro a Dio che, se direte parola niuna di quello che m’avete udito ragionare con costui, io vi fo rimanere il piú svergognato e ’l piú misero uomo che oggi sia in Roma. E questo basti.

Pedante. Fili mi dulcissime, tu sei in còlerá. Io non voglio parlar, per ora, piú teco.

Ciacco. Ricordatevi che vi giovará piú, a questo tempo, il tacere che tutte le vostre lettere.

Flamminio. Lassa pur che egli ne parli. Se non gli costará, mio danno!