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232 il ragazzo


Ciacco. Io avea pensato di fargli una burla d’una sorte. Da poi, venendomi a mente il vostro ragazzo, ho mutato proposito e glie ne voglio fare un’altra assai piú solenne.

Giacchetto. Che si che costui mi vorrá far diventar uccello e attaccarmi dietro la coda come si fa agli sparavieri!

Spagnuolo. Non so ancora a che tenda il parlar tuo.

Ciacco. Cotesto ribaldello del vostro ragazzo (udite gran cosa) s’assomiglia tanto di fatezza a quella giovane che io non so come si potessero assomigliare piú fratello e sorella nati ad un corpo.

Giacchetto. Se costei è bella, io mi posso tener gentil robba, è vero, Ciacco?

Ciacco. Si, per quello elemento che cuoce e fa render odore agli arrosti.

Spagnuolo. Lasciensi le burle. E taci tu, una volta.

Giacchetto. Non volete che io parli, se la cosa ha a farsi sopra di me?

Spagnuolo. Parla tanto che ti si secchi la lingua.

Ciacco. Io ho fatto, dunque, pensiero che Giacchetto si vesta in abito di donna e di menarlo al vecchio in iscambio della amorosa.

Spagnuolo. Non so ancora come questo fatto appartenga a me.

Giacchetto. Ben dissi che egli era ebbro.

Ciacco. Appartiene, che io, fra quel mezzo, tolto i panni del ragazzo, gli recarò a Camilla: con i quali ella vestitasi, doppo la partita del padre, leggermente potrá venirsene a voi senza che alcuno di casa se ne a vegga. Oltra che, avendo ella a caminar di notte un pezzo di via, sará molto piú sicura in abito di maschio che di femina.

Spagnuolo. Non so cotesto.

Giacchetto. Dimandatelo a me. Ma, per Dio, che tu non me l’accocherai. A me, ahn?

Spagnuolo. Non si potrebbe tór que’ panni senza vestire il ragazzo da femina e condurla al vecchio?

Ciacco. Si potrebbe, si; ma non cosí bene per il fatto vostro e ancora pel mio.