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atto secondo | 231 |
Spagnuolo. Che ordine s’è posto, Ciacco mio?
Ciacco. Io guardava tuttavia questo ghiotto in viso.
Giacchetto. Me, gentile uomo? Piacevi nulla? Dimandate, Spagnuolo. Che vuoi tu fare di lui?
Ciacco. Voglio che egli sia il mezzo di farvi aver Camilla.
Giacchetto. Non è egli assai un romano della sorte tua?
Ciacco. Tu non sai quello che io voglio inferir, gaglioffetto!
Spagnuolo. E meno lo so io.
Ciacco. Voi avete a sapere adunque... Ma non vorrei che ci fosse alcuno.
Spagnuolo. Di’ pure securamente, che questa è una strada ove rade volte passa niuno.
Ciacco. Voi avete a saper, dico, che messer Cesare padre della vostra Camilla è fuor di modo innamorato d’una giovane gentildonna bella e vergine. La giovane è, invero, da bene e non ne ascoltarebbe parola per tutto l’oro del mondo: tanto piú che ella è guasta di Flamminio suo figliuolo.
Giacchetto. Che novella ha incominciato costui?
Ciacco. E udite bella vena di pazzo! che, praticando io, quasi ogni giorno, in casa del vecchio con la miglior baldanza del mondo, egli mai non ha preso ardire di scovrirmi questo amore fuor che oggi; come che io lo sapeva assai bene, che il figliuolo e il suo famiglio me lo raccontavano ogni di.
Giacchetto. Che ha a far questo con Camilla?
Ciacco. Io, ritrovandolo in questa trama cosí semplice e cosí sciocco che miracolo mi parrebbe a trovarne un simile, gli ho promesso di condurgli la giovane in casa di una buona femina sua vicina.
Giacchetto. E poi?
Ciacco. Per me, faceva di tenerlo qualche giorno in pastura per cavargli piú cose di mano. Ma il buon cavaliere pur mi teneva detto: — O fa’ che io l’abbia questa sera o io me ne moro. — Né mai s’è voluto acchetare infino a tanto che io non glie l’abbia promesso e giurato.
Spagnuolo. È ben sciocco costui, da vero. Ma che appartiene questo a me?