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230 il ragazzo


Ciacco. Caccialo... presso che non dissi nel forame, capestro!

Giacchetto. D’intorno al collo ti campeggiarebbe un capestro divinamente.

Spagnuolo. Io giuro a Dio che, se non taci, vigliacco, mulo, io ti romperò tutte le ossa.

Giacchetto. Dica peggio che sa. Voglio esser mutolo, adunque.

Spagnuolo. Tu di’ ch’ella non m’ama?

Ciacco. No, no, no!

Giacchetto. E’ mente per la gola.

Spagnuolo. Egli è forza che mi tolga costui d’intorno.

Ciacco. Lasciatelo stare, che io non fo stima delle sue parole. Sapete come ella è? Voi non vi ricordate di me né io mi ricordo di voi.

Giacchetto. Verrá tosto dal «voi» su la «Vostra Signoria».

Spagnuolo. Non sai che io ho venticinque e trenta scudi

  • al tuo comando? Piglia la borsa.

Giacchetto. Adesso recará le buone novelle.

Ciacco. Mai non si peccò ad usar cortesia.

Giacchetto. Sarebbe di nuovo un crocifigger Cristo a usarla con un par suo.

Spagnuolo. Se non chiedi, la colpa è tua.

Ciacco. Un piacer che si fa senza che altri il richiegga vale tre tanti. Ma, se io vi fo aver Camilla questa sera, che premio sará il mio?

Spagnuolo. Quale vorrai tu.

Giacchetto. Ecco che ho pur giudicio.

Ciacco. La mia buona sollecitudine, i modi che io ho saputo usare, le parole piene di gran promesse sono state di tanto valore che Camilla desidera piú d’esser con voi che voi non disiderate d’esser con lei.

Giacchetto. Fate fabricare la capella, padrone.

Spagnuolo. Oh felice me! e te ancora, se questo è vero.

Ciacco. Cosí foss’io l’abbate di Gaeta, che averei d’alzare i fianchi a crepa corpo.