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atto secondo | 229 |
SCENA III
Spagnuolo, Ciacco, Giacchetto.
Spagnuolo. A tempo ti veggo, Ciacco galante.
Ciacco. Con questo, che non si parli di Camilla.
Giacchetto. Oh che ladro!
Spagnuolo. Perché non vói tu che io parli di lei?
Ciacco. Perché il tuo parlarne è indarno.
Giacchetto. Gli dá la baia, questo impiccato.
Spagnuolo. Il mio parlarne è indarno?
Ciacco. Signor siii.
Spagnuolo. Adunque, è indarno il parlar mio?
Ciacco. Non basta che lo dica una volta?
Giacchetto. Padrone, specchiatevi in quel fronte.
Spagnuolo. Non parlar, tu.
Ciacco. Che dice di «specchiare» questa fraschetta?
Giacchetto. La terra che aggira.
Ciacco. Che «terra»? che «aggira»?
Giacchetto. Dico che tu sei ebbro, poveretto! e non sai quello che tu ti dica.
Spagnuolo. Non vói tacer, bestiuola?
Giacchetto. Ecco che io taccio.
Spagnuolo. Vieni qui, caro Ciacco. Coteste parole sono elle conformi alla promessa che tu m’hai fatto?
Ciacco. Messer no.
Spagnuolo. La cagione?
Ciacco. Che non si può.
Giacchetto. Tanto avesse egli denti in gola acciò che si morisse di fame!
Spagnuolo. E perché non si può?
Ciacco. Perché ella piú non t’ama.
Giacchetto. Padrone, lasciate che io faccia le vostre vendette. Che si che ti scanno con questo pugnale!