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216 il ragazzo


Messer Cesare. Ecco Flamminio mio figliuolo, insieme con Valerio, che esce di casa. Facciam quest’altra strada, che non vo’ che mi veggano.

Ciacco. O piú corta o piú lunga, pur ci giugneremo oggi.

SCENA IV

Flamminio giovane, Valerio famiglio.

Flamminio. Hai veduto, Valerio, il padre mio insieme con Ciacco?

Valerio. Gran fatto se io l’ho veduto!

Flamminio. Ahi lasso me! che io sono il piú misero e il piú sventurato giovane che viva. Quando s’udi piú dire che il padre fosse rivale al figliuolo?

Valerio. Che ne sa, il padre, del tuo amore?

Flamminio. Quanto volentieri vorrei che tu glie lo avessi detto!

Valerio. A che fine?

Flamminio. A fine che, vergognandosi di concorrer meco in amore, si rimanesse, per onestá, dalla impresa.

Valerio. Oh bel detto! Quale è piú onesta cosa, o che il padre ceda al figliuolo o il figliuolo ceda al padre?

Flamminio. Dunque, restarò io d’amare ciò che non posso?

Valerio. Il medesimo potrá dire egli.

Flamminio. Io m’avea imaginato di scovrirli il mio amore...

Valerio. Poverino! Tu sei pazzo. Che ne seguirá da poi?

Flamminio. Lasciami fornir di dire.

Valerio. Fornisci.

Flamminio... e poscia dargli a vedere che io desideri di tór Livia per moglie.

Valerio. Peggio.

Flamminio. E perché peggio?

Valerio. Ascoltami.

Flamminio. Io t’ascolto.

Valerio. Egli, da prima, ti fará una riprension da padre.

Flamminio. Che fia per ciò?