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214 il ragazzo


Messer Cesare. Fratel mio, quando io fossi in quell’essere nel quale era, giá trentasei o quaranta anni, io non dubitarci di avere in ogni cosa l’intento mio: che mille belle e gentili madonne impazzirono giá del mio amore. Ma, come tu vedi, io son vecchio; e le giovani vogliono i giovani.

Ciacco. Egli è vero. Ma voi avete un’altra cosa che vale molto piú che non vagliono le bellezze e le giovenezze.

Messer Cesare. Che? la virtú? Non si ama virtú, oggidí.

Ciacco. Virtú ove si soffia alle noci! Altro intendo io.

Messer Cesare. Il sangue nobile?

Ciacco. Meno.

Messer Cesare. Che cosa è, adunque, ella?

Ciacco. L’esser ricco, lo aver danari. M’intendete voi? f Messer Cesare. Sentenza divina.

Ciacco. State, adunque, sicuro di piegare alle vostre voglie le colonne, non che le donne.

Messer Cesare. Questo è quel poco di speranza che mi tiene in vita.

Ciacco. Dubitatene voi? È forse reina o imperadrice quella che amate?

Messer Cesare. Colei che io amo è gentildonna romana, fanciulla e sottoposta a madre.

Ciacco. Se la figliuola fosse l’Ancroia e la madre la fata Morgana, l’arete, avendo la borsa piena.

Messer Cesare. Oh che nuova similitudine!

Ciacco. Io ne so le migliaia a mente. Ma voi mi parete uno di quelli che aspetta che il confessore gli addimandi i peccati. Chi è questa vostra amorosa? Volete voi ch’io vi cavi le parole di bocca con le tenaglie?

Messer Cesare. Non è uomo in Roma che meglio la conosca di te; e tanto sei della casa di lei quanto la camiscia che hai indosso è tua.

Ciacco. Piacemi. Ma come si chiama?

Messer Cesare. Tu dovesti conoscer messer Fabio Cesarino.

Ciacco. Piú che tutti gli uomini del mondo. Oh che gentil signore! oh che cortese gentiluomo! Beato me, se costui aveva