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atto primo 213


Messer Cesare. Amore è il male che mi tormenta.

Ciacco. Ah! ah! ah!

Messer Cesare. Ciacco, tu te ne ridi?

Ciacco. Non volete che io rida, intendendo che il vostro male sia amore? Ed io pensava ch’ei fosse uno di que’ gran morbi orribili ai quali non si trova medicina!

Messer Cesare. Non ti pare, adunque, che amore sia della qualitá che io t’ho detto?

Ciacco. Anzi, a me par tutto il contrario; che amore è la piú dolce cosa e la piú melata del mondo. E dimandatene a quei piccioli animaletti che muoiono in sul buco.

Messer Cesare. Dolce cosa sarebbe a trovarmi nelle braccia de...

Ciacco. Della morte?

Messer Cesare. Della morte? Ah Ciacco!

Ciacco. Della morte, si; che sareste fuori di tanti tormenti, se amore è cosí mala cosa come dite.

Messer Cesare. Sallo chi ’l pruova come fo io.

Ciacco. Ora, padron dolce, ho inteso il vostro male; e me ne duole, invero. Ma come farete voi a guarirne?

Messer Cesare. Il medico puoi esser tu, Ciacco caro, amandomi: ancora che tu non abbi studiato mai, per quello ch’io sappia, né Ipocrasso né Avicenna né Galieno.

Ciacco. Anzi, porco grasso, vino a cena e corpo pieno è stato sempre il mio studio. E, in tal dottrina, non è niuno che possa comparer meco.

Messer Cesare. Se mi guarisci, tutti i porchi che si amazzaranno in Roma, questi tre anni, saranno per tuo conto.

Ciacco. Se ciò avesse effetto, non mi accorderei con lo imperadore. Ma che volete che io faccia? Quando io fossi l’amorosa, tosto vi metterei nel paradiso di Adamo; e cosí tornereste sano e allegro.

Messer Cesare. Altri non me vi può metter che tu.

Ciacco. Eccomi apparechiato. E, se io saprò come poterlo fare, vi lodarete di me. Benché, mi maraviglio che un par vostro stia di mala voglia per dubbio di non ottener ciò che desidera.