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212 il ragazzo


SCENA III

Messer Cesare, Ciacco parasito

Messer Cesare. Ben venga il mio caro e da ben Ciacco.

Ciacco. Sia ben trovato il mio cortese signore. Oh che bell’aria! che aspetto da imperadore che è questo vostro d’oggi! A fé, signore, che voi ringiovanite come fa l’elefante.

Messer Cesare. Ah! ah! Tu vuoi dir la fenice.

Ciacco. Signor si, la fenice.

Messer Cesare. Tanto è, non fu troppo errore. Ma lo amore che mi porti fa vedere in me quello che vorresti, non quello che si vede; perché ti so dire ch’io sto male.

Ciacco. Come male? Sono gli amalati di questa qualitá?

Messer Cesare. Il mio male è di dentro.

Ciacco. Sono piú sorti di mali: febbri, catarri, doglie di fianchi, torcimenti di stomachi, mal di rene e si fatti.

Messer Cesare. Ve n’ho un altro peggior di tutti.

Ciacco. Avea lasciato le podagre, la scabbia, il francese e la peste.

Messer Cesare. Sappi, Ciacco mio, che questi mali e’ hai detto si possono addimandar beni a comparazione del male che mi tormenta.

Ciacco. San Pietro e san Paolo, orate pro vobis. Io mi voglio discostar da voi.

Messer Cesare. Sta’ fermo, che ’l mio male non si prende per essermi presso né per toccarmi.

Ciacco. Dite, adunque: che nome ha egli?

Messer Cesare. Vorrei dirlo e non dirlo.

Ciacco. Di chi prendete voi vergogna?

Messer Cesare. Di me medesimo.

Ciacco. Di voi? Ditelo; che io vi fo intender che, per tacer, si muore. Ditelo a me.

Messer Cesare. A te son contento.

Ciacco. Ditelo, adunque.