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atto primo | 211 |
Valerio. A me dee parer nulla, se a voi par picciolo. Aprite gli occhi, padrone, e racordatevi d’esser padre e nell’etá nella quale dovereste insegnare ad altri.
Messer Cesare. Valerio, attendi a fare l’ufficio tuo; e di quello che mi s’appartiene lasciane, un tratto, il pensiero a me.
Valerio. Potess’io farlo senza passione!
Messer Cesare. Se tu m’amassi, non cercaresti di dileggiarmi ma faresti ogni cosa per aiutarmi in questo amore.
Valerio. Dch! Riguardate al fatto vostro e non vi lasciate portar dove poi non ci vorreste essere.
Messer Cesare. Amore ha vinto spesse fiate di maggiori cervelli che ’l mio non è. Ma tu, che sei grosso, non comprendi i miracoli ch’egli sa fare.
Valerio. Il maggior miracolo che mai facesse Amore pare a me che sia lo avervi levato il cervello a tempo che piú n’avevate di bisogno. E perdonatemi se io dico il vero.
Messer Cesare. Togli miti dinanzi, asino temerario! che, per lo corpo di...
Valerio. Alla buon’ora! Ve n’avederete al fine.
SCENA II
Messer Cesare solo.
Ora che io son rimaso solo, per confessare il vero, il mio Valerio m’è stato sempre fedele e sempre m’ha consigliato bene ed ha piú ingegno di quello che può trovarsi ne’ suoi pari. Ma chi è innamorato è nimico de’ consigli; e, quando l’uomo è caduto nel male, non gli fa bisogno di riprensione ma di medi-cina. Ma, lasciando questo da parte, dove troverò io quel ghiotto di Ciacco il quale solo può condurre a porto l’amoroso mio disiderio? E pure ieri mi promise di essere oggi meco a quest’ora. Eccolo a punto.